giovedì 23 marzo 2023

Chi non muove si ricrede

Entro nell’androne. Nel vaso del ficus un cartello scritto a penna: NON È UN PORTACENERE MAIALI!!!.
Caseggiato vecchio, senza ascensore. Prendo fiato e affronto le rampe due gradini per volta, aiutandomi col corrimano.
Ho perso un sacco di tempo dietro una Citroen nel controviale, con quella donna che si truccava nello specchietto ad ogni semaforo rosso. Sono sceso e sono andato a batterle contro il finestrino con il piede di porco. Per poco non ha ingoiato il rossetto. Ha sterzato sul marciapiede travolgendo un bidone dell’organico e mi ha fatto passare.
Arrivo al quinto piano con una grattugia nei polmoni ma non posso fermarmi. Scorro tutte le porte finché leggo MARINI sul campanello. Pianto il piede di porco nello stipite. Due strattoni con i miei cento chili e la serratura salta fuori fra schegge di legno grosse come bastoncini di pesce.

Ingresso. Divani in pelle, tavolino con porta incenso etnico, mensola con i libri di Sophie, sulla parete una stampa de La danza di Matisse.
Trovo la porta del bagno. Chiusa a chiave. Naturalmente.
Mi basta un solo calcio. La porta si spalanca, sbattendo contro l’armadietto in una cascata di campioncini di profumo e barattoli di crema.
Sangue. Fino all’orlo della vasca da bagno. Penzolante dal bordo della vasca il braccio di Giulia. Sul polso i solchi della lametta, ancora stretta fra le dita. Il viso di Giulia affiora sull’acqua, i capelli neri galleggiano come alghe morte.
Infilo le braccia nell’acqua e la tiro fuori. É fredda anzi gelida.
Le annodo un asciugamano attorno a un polso e la cintura dell’accappatoio attorno all’altro.
Esco dal bagno calpestando campioncini di profumo.
La adagio delicatamente sul tappeto fantasia scozzese. Apro la finestra.
Le tasto il collo. Non sento battito ma forse non sto trovando la giugulare.
Provo a chiamarla. Le colpisco le guance con un paio di schiaffetti.
«Giulia! Giulia! Giulia!»
Non può essere morta, non deve essere morta…
Le sue palpebre tremano. Si schiudono debolmente. Le sue labbra violacee mormorano un
«Chi sei…?»
Ce l’ho fatta. È viva.
La sollevo di peso, sporgo il suo corpo oltre la finestra aperta e la getto di sotto.

Associazione Ludica DoppioSei. Davide Sogliano è al tavolo con altri giocatori.
«A cosa stanno giocando?» si avvicina a chiedermi nell’orecchio il mio supervisore. Si è presentato a casa mia questa mattina, senza preavviso.  
«VILLAGE»
«Te ne intendi?»
Uno deve trovare modo di ammazzare il tempo, mentre le persone cercano di ammazzarsi. Mi sono buttato sui giochi da tavolo. Non sono male.
«Village è un piazzamento lavoratori, d’ambientazione medioevale, per 2-4 giocatori, di Inka e Markus Brand, della durata di 60-90 minuti, edito in Italia da Asmodee. Lo scopo del gioco è gestire al meglio la propria famiglia affinchè, di generazione in generazione, non collezioni più punti prestigio delle altre famiglie.»
«Uh, sei un esperto!» commenta mentre il ragazzo al tavolo, alla sinistra di Davide, preleva un cubetto verde e attiva l’azione alla CAMERA DEL CONSIGLIO.
«Non ha fatto una bella faccia, forse voleva eseguirla lui» nota il supervisore
«Già. E Davide è rimasto senza cubetti verdi. Quando attiveranno il MERCATO, non potrà comprare tessere».

La partita prosegue in un lento stillicidio. Davide prova a concentrarsi sull’area VIAGGIO collegando le città, ma sembra troppo dispendiosa per le sue possibilità.
Ci passano accanto altri ragazzi dell’associazione, compresa Antonella, che fra 3 settimane, durante un giro in mountain bike, cadrà dalla bici spezzandosi l’osso del collo.
Il supervisore controlla la sua agenda.
«Davide Sogliano, quarantasette anni. Fra un’ora tornerà a casa e si impiccherà»
«Esatto» gli confermo sfogliando la mia «Ma non per la partita. Ha scoperto di avere un cancro. E la moglie l’ha lasciato. Un periodaccio»
«Ho letto che la tua trasferta doveva durare solo un anno».
Eccoli. I nodi che vengono al pettine.
«Sì. Doveva finire nel dicembre 2006»
«E invece hai chiesto di continuare a stare qui»
Ha letto il mio fascicolo. La sua non è una semplice visita di routine. Sanno tutto. Non potevo aspettarmi che non lo scoprissero.
«Non tutti lavorano volentieri in trasferta. Ti dirò che, numeri alla mano, sono molti di più quelli che dopo qualche mese chiedono di rientrare. Sei davvero un caso anomalo. Non che ci sia nulla di male, eh, intendiamoci».

Parco. Panchina sotto gli alberi.
Aria fresca.
«Abbiamo riscontrato delle anomalie. Numerose anomalie» inforcando gli occhiali «Come sai bene sulle nostre agende sono registrati tutti i decessi. E sono tutti precisi e non è possibile in nessuna maniera modificarli. Almeno a livello teorico»
«Nessuno può sfuggire al proprio destino» recito.
«Già. Almeno nessun mortale» cercando il mio sguardo.
Fare l’indiano non mi riesce bene. Neanche l’angelo per la verità.
«Parliamo delle anomalie. Nell’ultimo anno, bada bene: solo ultimo anno, l’agenda riporta 19 discrepanze nei decessi. Ossia 19 persone che dovevano morire in un modo, e che invece sono morte in un altro. Tu come lo spieghi? ».

«In Village il tempo è la moneta del gioco» dico «I meeple dei giocatori muoiono». Ridacchio. Che altro dovrei fare?
«La cosa che ha fatto un po’ storcere il naso a quelli dei piani alti è che le 19 persone, le 19 anomalie, erano tutte destinate a morire per mano propria. Suicidi. E invece, all’ultimo momento, sono state misteriosamente assassinate. Strano, non trovi?»
«Vorrei mostrarti quanto è facile qui sulla Terra procurarsi una pistola. La mia l’ho comprata al mercato di Piazza Bengasi, un sabato mattina, dietro un banco di mutande e canottiere. Mentre il tizio cercava una seconda scatola di pallottole sul retro del furgone, due donne al mio fianco litigavano per un body color carne»
«Hai ucciso tu tutte quelle persone»
«Sei venuto a riportarmi a casa?»
«Sì.»

Tiro fuori la pistola e gliela punto alla pancia. Sparo due colpi. Lui sobbalza per lo spavento delle detonazioni.
Sul suo addome le ferite si rimarginano immediatamente. Il sangue diventa trasparente e poi scompare.
«Perché l’hai fatto?»
«Non lo so»
«Stare a lungo sulla Terra non ti ha fatto bene»
«Lassù continuiamo a condannare i suicidi. Non c’è paradiso per chi si toglie la vita»
«Il suicidio è peccato mortale. Non l’ho scritto io. É la legge.»
«La vita qui è molto complicata. Anzi è un vero casino.»
“Non sta a te decidere”

“Vuoi sapere come ho cominciato? Con una bambina di quattro anni. Era al mare coi nonni. Un nocciolo di albicocca le è andato di traverso mentre guardava il dvd di Cars 2. Il nonno ha provato a toglierlo ma è stato peggio, gliel’ha solo spinto più giù in gola. Si chiamava Mariasole. La madre non riusciva a rimanere incinta. Ha fatto l’inseminazione artificiale due volte. Poi è andata in Spagna. Il marito ha affittato un camper. Dopo l’inseminazione sono rimasti tre giorni nel parcheggio dell’ospedale, per evitare qualsiasi movimento. Quella bambina era la sua vita»
«Non sta a te decidere» ripete.
«La madre ha tentato di uccidersi bevendo la candeggina. Sono arrivato a casa sua che era già riversa sul pavimento in una pozza di vomito e sangue. Mi ero portato la pistola, credevo di essermi portato la pistola, e invece l’avevo dimenticata in macchina. Avevo meno di un minuto per decidere. Ho dovuto strangolarla. Non potrò mai dimenticare i suoi occhi mentre le stringevo il collo».
«Dai, torniamo».

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9 commenti:

  1. Wow!!
    Village gioco carino.
    Tullaris

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  2. Dado, una Roba Grande!
    Anche il gioco non è affatto male

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    1. Grazie1000 Kukri. Sempre fedele a questo blog.
      Andrea

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  3. Dado, da brividi…
    Penny

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  4. Scrivere racconti belli è più difficile che scrivere un romanzo. Tu riesci a scrivere micro racconti avvincenti e bellissimi. Hai un gran talento. Complimenti davvero!!!

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  5. Intenso. Vai più a fondo. Vai oltre.

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