venerdì 12 luglio 2024

Giocodurismo

Come il peggiore dei mostri avevo per anni nascosto la mia vera natura dietro una porta chiusa a chiave.
Puoi entrare in qualunque stanza tranne in quella, avevo intimato a mia moglie tornati a casa dalla chiesa con ancora i confetti in tasca. Il rischio di passare per un Barbablu veniva scongiurato al tavolo da gioco: io prendevo sempre il giallo, quindi al massimo potevo passare per l'innocuo Barbazoo che parlava con gli animali nei Barbapapà.
Per anni ero stato cordiale con i vicini che di me avrebbero potuto raccontare ai giornalisti: "Salutava sempre" o "Ci regalava le albicocche del suo giardino e anche la menta che cresceva accanto alla siepe" e scuotendo il capo: "Sembrava una così brava persona..."

Avevo nascosto il mio lato oscuro dietro un'anonima libreria sui ripiani della quale stavano a fronteggiarsi, come Montecchi e Capuleti, nientemeno che Agricola e Caverna, insieme a comunissimi dildi e vagine vibranti comprati con l'Amazon Prime, e copie del Mein Kampf e de Il mondo al contrario. Un uomo come tanti altri, insomma, che non comprendeva i conteggi dell'amministratore di condominio ma pontificava sui vaccini mRNA e sul MES, che andava a messa la domenica e a mignotte il lunedì, che comprava i giochi sugli store tedeschi e poi scriveva agli editori italiani se gli mancavano i pezzi.
Ma estraendo dal ripiano Le 120 giornate di sodoma, del Marchese de Sade, si innescava un meccanismo che faceva scorrere la libreria su una rotaia, rivelando lo stretto passaggio verso la stanza segreta, illuminata solo da una lampadina che penzolava dal soffitto.

Ad insospettire mia moglie furono le mie continue assenze.
Mi chiudevo nell'antro per poter essere me stesso. Tutti dovrebbero possedere una stanza segreta.
Così un giorno, approfittando che ero a lavoro e stavo accovacciato sulla turca (il collega mi aveva spiegato il concetto di cacca retribuita e così mi capitava spesso di fermarmi oltre le 17.00 per farla nella fascia di orario straordinario, così da beneficiare della maggiorazione), fece scattare il meccanismo ed entrò nella mia tana.
La colsi sul fatto, rientrando a casa,  mentre cercava di cancellare le sue impronte digitali da Taco Gatto Capra Cacio Pizza.
«Dado...come hai potuto!?» mi disse mettendomi di fronte la scatola metallica di Sushi Go.
Cercai di negare. Perché se c'è una cosa che i mostri sanno fare bene è mentire. Le dissi che tutti quei filler e quei party game erano di un amico, che li tenevo a casa mia solo perché lui non poteva tenerli nella sua, ma che non li avevo mai giocati, che io con quella merda non avevo niente a che fare. Per dar forza alle mie parole scagliai uno dei burrito di gomma di Throw Throw Burrito contro la parete, ma questi rimbalzò e mi tornò addosso, colpendomi al petto.
La risatina che mi scappò dissipò ogni dubbio sulla mia colpevolezza.

Promisi di cambiare, baciai la foto di mia madre e giurai che non avrei mai più toccato quello sterco fumante e che avrei giocato solo giochi con difficoltà minimo Barrage, compresi i titoli citati nel Nuovo Testamento dagli apostoli  Luca, Matteo, Giovanni e Marco Oliva (Alkyla): Twilight Struggle, Mage Knight, Through the Ages.
I titoli che titolavano, che tracciavano il solco fra babbani e navigati, e lo difendevano come balilla con la lancia di Longino, erano cari e pure difficili da reperire.
Alla fine presi Food Chain Magnate.
Lo pagai un rene e me ne vantai sui social, come richiedeva l'etichetta.

«Ma come? In italiano?» fece una smorfia PaneCaMeusa appena vide la scatola della MSEdizioni «I giochi si comprano in tedesco o al massimo in inglese!»
«Dagli tregua, non lo vedi che sta attraversando un brutto momento? Che fino a ieri giocava a Libertalia?» venne in mio soccorso TestaDiCane.
«Sarà... ma non vi azzardate a pubblicare sui social foto della partita, che ho una reputazione. Parafrasando un compaesano il mondo si divide in sei categorie: uomini, mezzi uomini, ominicchi, pigliainculo, quaqquaraquà e babbani».

Giocammo e Food Chain Magnate.
La partita durò cinque ore e ci costrinse a saltare il pranzo per non sforare gli impegni del pomeriggio.
Era un gestionale della Spotter Spellen, per 2-5 giocatori, dalla grafica essenziale e quasi prototipale, con meccaniche di deck building, pick up & delivery, e gestione della rete. Ogni giocatore era chiamato a gestire un punto di ristorazione col fine ultimo di vendere i propri prodotti (panini, pizze e bibite) e trarne il massimo profitto. I clienti andavano addomesticati e irretiti tramite pubblicità e sconti.

La partita fu faticosa ma piena di soddisfazioni. Era come estrarre un cavallino da un ceppo di legno, usando solo la lama di un coltello e il sudore della fronte.
Il gioco, come i castelli di carte, richiedeva la pazienza di un frate ed era punitivo come un inquisitore, ma ripagava ogni grammo di sforzo profuso.
TestaDiCane osservò la mia redenzione con l'orgoglio di un padre che abbia visto per la prima volta il figlio andare in bici senza rotelle.
Scrissi che avevo giocato la reliquia sui social. I contatti si schierarono in due gruppi compatti, da una parte quelli del NonHaiAncoraVistoNiente, che se Food Chain ti sembra lungo allora non hai mai provato World in Flames e i giochi dalla Coin, e dall'altra quelli dell'AstaAlRibasso, secondo i quali una volta comprese le regole Food Chain poteva essere giocato facilmente in un'ora \ noi lo giochiamo in cinquanta minuti \ noi in quaranta \ noi in treno fra le due fermate di Alassio e Albenga.
Tornai a casa e dissi a mia moglie che ero cambiato. Smantellammo la stanza dei segreti e la trasformammo in camera per la colf che pagavamo in nero, e che molestavo personalmente perchè senza passaporto e non poteva ribellarsi.
Mia moglie mi perdonò, disfò la valigia che aveva preparato per tornare a casa di sua madre, e quella notte tornò a fare l'amore con me.

Ma dopo qualche tempo il mostro tornò a fare capolino e fui costretto a prendere in affitto in segreto una stanza a La Cassa, un piccolo comune della provincia di Torino che mi rassicurava per il nome contenuto, e perché vi aveva trascorso gli ultimi anni il pinotico Mago Gabriel.
Tassellai le mensole al muro e le riempii di filleracci, party game sboccati e persino giochi popolari come il Burraco, l'Asso che Corre e la Teresina.
Neanche il capolavoro che era Food Chain poteva salvarmi dalla mia vera natura.


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