domenica 30 luglio 2023

Tu come stai

Non c'è paragone. La nuca della mamma è molto più bella. Collo bianco sottile, capelli scuri lucenti. Quella del papà è tutta sudata ed escono alcuni peli dal colletto, senza contare quel neo che sembra un chicco di uvetta...bleah!
«E muoviti!» Tira un pugno sul volante, l'arbre magic allo specchietto ondeggia. La mamma gli appoggia una mano sull'avambraccio. «Cerca di stare calmo».
«Posso togliere la cintura? Siamo fermi!». La mamma si volta e mi gratta il ginocchio. «Dieci minuti e ci fanno passare. Hai sete?». Scuoto la testa. Mi porge lo stesso la borraccia. Ripeto il no con la testa. Anche se forse un sorso potrei berlo.
Le ciondola sul petto la collana a goccia, quella con lo scomparto segreto. Mi piace schiacciarla ai lati e farla scattare, guardare la foto del nonno. Il papà mi ha detto che non devo raccontare in giro del nonno, soprattutto ai compagni e alla maestra, che posso solo parlarne con la mamma.
Un poliziotto mi passa di fianco al finestrino. Solleva il guanto nero e mi manda un Ciao. Rispondo al saluto. Mi piace la loro divisa nera e blu, con i rinforzi ai gomiti, il corpetto in kevlar. Ho visto un documentario governativo su quei corpetti. Facevano vedere una Jeep che gli passava sopra. Può fermare una ferita da coltello, ma non funziona contro le pistole.

Avanziamo di un metro. Le luci posteriori della macchina davanti si accendono di rosso. Di nuovo fermi.
«I documenti. Il mio e il tuo». Li porge al papà, che li tiene con due dita sul volante.
«E il mio?». Mi tolgo il pass appeso al collo.
«Te li ricordi i rave?». La mamma è assorta. Sembra concentrata sulla perquisizione della macchina davanti. Il cane lupo è salito con le zampe davanti nel bagagliaio e ha cominciato ad annusare.
«E il mio?». Ripeto. Odio ripetere. Odio quando non mi ascoltano. 
La mamma si volta. «Certo, glielo facciamo vedere». Lo prende, avvolge il cordino attorno alla mano. Scommetto che non glielo farà vedere. I bambini non li controllano.
Quando ci sono i poliziotti diventa sempre nervosa.
«E la pizza il sabato sera?» Il papà abbassa il deflettore contro il sole. Uno scontrino plana vicino al freno a mano. «Quando hanno stabilito in quanti ci potevamo incontrare per cena e per quanto tempo?».
Scuote la testa. La mamma fa uguale. La macchina davanti alla nostra sparisce, andiamo avanti. Ci fermiamo accanto al cartello con scritto STOP.
«Buongiorno». Il poliziotto fa il saluto al papà che risponde con un cenno. «Motivo della visita?»
La mamma mostra il cesto vuoto e getta il pollice indietro.
«Abricots. Albicocche. Il bambino ne va matto».
Ma non diciamo cavolate! Mi piacciono ma io vado matto solo per la pizza e il cioccolato. Mi piacciono anche le merendine del Governo (mi ha insegnato a dirlo la mamma) ma molto meno di pizza e cioccolata. Le albicocche o Abricots, come si chiamano in Svizzera, stanno a centomila galassie di distanza.
La portiera accanto al mio braccio si apre. Una poliziotta infila la testa dentro. É bionda e ha un buon profumo.
«Ciao». Faccio scattare la mano alla fronte. «Uh, sai già fare il saluto»
«Da grande voglio fare il poliziotto!». Mi sorride. La mamma si volta con una brutta espressione. Non le piace quando glielo dico, anche se le ho già spiegato un trilione di volte che diventerò un poliziotto buono, che non picchierò nessuno.
«Cosa sono quelli?» chiede la poliziotta indicando il sacco di stoffa nero accanto alla mia gamba. Infilo la mano e tiro fuori una camionetta dei pompieri. Porto l'interruttore su ON e il lampeggiante rosso si accende e comincia a girare.
«Giocattoli del bambino». Mentre la mamma risponde il bagagliaio dietro la mia testa si solleva. Una voce da uomo dice «Cerca, Rocky, cerca». Sento il cane che snuffia. Mi piacerebbe accarezzarlo. Vorrei avere un cane, ma uno buono, non quelli che si vedono in televisione, che tirano il guinzaglio e ringhiano contro gli studenti che manifestano.
«Sono tutti giocattoli col bollino governativo?» Allunga la mano verso il mio sacco.
«Non sei sposata. Non hai l'anello». Le tocco il dito. Lei si blocca e mi sorride. «No, non sono sposata. Vuoi sposarmi tu?»
Sento le guance andarmi a fuoco. Odio arrossire. La mamma: «Stia attenta, agente, mio figlio è un vero rubacuori». La poliziotta ridacchia, mi spettina i capelli ed esce dalla macchina, sbattendo la portiera.
La sento dire al collega «Tutto regolare».

Le luci dei lampioni scorrono sopra la mia testa. Fingo di dormire, disteso sul sedile posteriore. Lo faccio spesso, così posso sentire i discorsi che non dovrei sentire. Sento la mano della mamma che mi copre con la sua giacca. Ha il suo profumo. Ho detto a Mauro Pinna, il mio compagno, che vorrei sposare mia mamma, ma lui mi ha spiegato che non si può.
Solleva il sacco nero e se lo mette sulle ginocchia. A casa ha fatto due strati, quello sotto con i giochi da tavolo cooperativi, e quello sopra con i miei giocattoli governativi.
La porta della cameretta era aperta abbastanza per sbirciare. L'ho vista mentre mostrava il cubo di Tranquility al papà. Gli ha chiesto: «Quand'è che è diventato vietato giocare?». Il papà ha lanciato in aria il cubo e l'ha ripreso al volo. «Quando hanno messo il bollino del governo ai giochi autorizzati. E hanno stabilito un numero massimo di persone, per evitare l'aggregazione, perchè l'aggregazione è pericolosa. Le persone parlano, si confrontano». La mamma si è ripresa il cubo. Ci tiene ai giochi da tavolo, erano di suo padre. «E i cooperativi sono diventati vietati. Il concetto di cooperazione è diventato pericoloso. Oggetti sovversivi!».

Entriamo in autogrill, riconosco l'insegna con i prezzi del carburante. Parcheggiamo.
«Il bambino? Controlla». La mamma si volta per controllare se dormo. Resto immobile, cercando di mantenere il respiro regolare. «Sì...dorme leggero ma credo che dorma». 
«Sono le due e mezza, dove diavolo è?». Il papà è nervoso. Si volta in tutte le direzioni.
«Sono le due e venti, siamo in anticipo. Cerca di restare calmo».

Rumore. Il motore di una macchina. Parcheggia accanto alla nostra.
«É il Pavone!» Gli amici della mamma, quelli che incontriamo in giro, non hanno nomi, hanno tutti soprannomi. Il Furetto. Il Sonno. La Mollica.
La mamma apre la portiera e scende. Si porta dietro il mio sacco. Sento i giocattoli tintinnare. Anche il papà scende, ma rimane dal lato del guidatore, a guardarsi a destra e a sinistra. Il finestrino è aperto di due dita. Sento l'odore di una sigaretta. Il Pavone fuma. Sento le voce di una seconda donna. Fa i complimenti alla mamma, le dice che si ricorda del nonno. Gli amici della mamma, quelli coi soprannomi, conoscevano tutti il nonno. Lui era una specie di giornalista. Che a un certo punto ha cominciato a scrivere cose contro il governo. La mamma mi ha raccontato che l'hanno ammazzato i poliziotti (per questo li odia e si arrabbia quando le dico che mi piacerebbe diventarlo).
«Questo è Tranquility. Gioco cooperativo per due cinque giocatori». Il Pavone le risponde qualcosa, capisco solo il finale: «...hai mai pensato che saremmo arrivati a questo?». La mamma resta qualche secondo in silenzio, tanto che vorrei sollevare la testa. «É meglio la peggiore delle democrazie alla migliore delle dittature». Riconosco la frase. É una delle preferite della mamma. É di un tizio famoso, morto, che si chiamava Pertini o Pertino.

Mi sono addormentato. Apro gli occhi. I lampioni scorrono ancora. Mi muovo. La giacca cade dietro ai sedili. La mamma si volta. «Abbiamo ronfato, eh, signor ghiro?».
Ghiro. Mi piace. Potrebbe diventare il mio soprannome segreto. Anche se preferirei: Iguana.
Allungo la mano e trovo il sacco dei giocattoli accanto alla mia testa. «Acqua». La voce mi esce strozzata.
La mamma svita il tappo e mi porge la borraccia. Bevo Non è più tanto fresca e sa di metallo. Il papà continua a guidare. Facciamo sempre due viaggi, uno per prestare i giochi e un altro per riprenderli.
«Mi dai il medaglione del nonno?». La mamma si porta istintivamente le mani al petto. Poi dietro il collo. Lo sgancia.
«Luna, non incoraggiarlo» la ammonisce il papà. Lei si sporge e mi mette la goccia di metallo in mano.
Ne schiaccio i lati. Lo sportellino scatta. L'uomo ha un cespuglio di barba sul volto. Nella foto sta giocando a carte. A me ricorda uno scimmione ma simpatico.
«Si chiamava come te, Andrea.»
«Lo so, mamma, non me lo ripetere cento volte».


Trovate Tranquility su MagicMerchant.it
che sostiene questo blog


13 commenti:

  1. Distopico e commovente.
    Elena Infinite Jest

    RispondiElimina
  2. Direi che ti è andata meglio di quando sei diventato uno zombie :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahhhh che goduria leggere il commento di chi ti legge e non dimentica.
      Love!

      Elimina
  3. Raccontone, enormemente sopra gli standard (già di loro altissimi)! Comunque devo dire che l'idea di mettere fuori legge i giochi cooperativi non mi è dispiaciuta; rende più sopportabile questo mondo distopico.
    Per al cronaca, non mi piaciono (ed è un eufemismo) i giochi cooperativi e quelli di carte... ma credo che si fosse un po' capito. :-)

    RispondiElimina
  4. Bellissima la citazione di Santo Pietini!
    Noto con piacere che cominci a vedere in una nuova luce i coprifuochi, divieti di socialità e le altre nefandezze del Covis

    RispondiElimina
  5. Uno dei racconti più belli.
    Mi hai commosso

    Il giullare

    RispondiElimina
  6. cioè un racconto di un passato che però è super nel futuro! emozione a mille.

    RispondiElimina
  7. Da brividi, nonno Dado! 😉

    RispondiElimina
  8. Non riesco più a seguirti come un tempo, ma ogni volta è un vero piacere...lacrimuccia.

    RispondiElimina