Un baretto di Nichelino a una sola vetrina, un baretto quasi invisibile, tanto stretto al punto che.
Stretto come i suoi jeans, che le strizzano la vita e quel fondoschiena fatto a cuore che raddoppia i caffè.
Un fondoschiena che combatte la crisi, che sbarca il lunario, con le tasse oltre il 50%.
"Un caffè" le chiedo "Posso sedermi?"
"Prego"
Il ventilatore bascula e fa quello che può, non miracoli in questo strascico d'agosto da caldarrosta, e le finestre del cortile aperte per far corrente.
Mi porta il caffè e un bicchierino di seltz. Deve essere dura su quei tacchi tutto il giorno, rifletto.
Dimostra 30 anni, a parte le mani.
Le mani sono la carta d'identità delle donne, forse è per questo che si colorano stelline e incollano brillantini sullo smalto sulle unghie: per distrarre lo sguardo.
"Caldo, oggi, eh"
"Caldissimo" commenta pizzicandosi la canotta come per staccarsela di dosso.
"E' tuo il bar?"
"Sì. Mio e di mia madre" risponde
Ricordo di averla vista la volta scorsa, sua madre, seduta a un tavolino, a far cerchi con una penna attorno agli annunci de La Stampa: come sarà lei fra 30 anni e fra 30 chili: ancora bionda, non più solo burrosa ma grassa, viso più stanco e segnato, meno sorridente, meno gentile con i clienti, sfiancata dagli anni in piedi dietro il bancone, dalle mille diete iniziate, dagli inutili tentativi di resistere al tempo.
Quel momento in cui gli sguardi degli uomini cambiano, perdono di interesse, e non sei più la biondina del bar.
Torna a sciacquare due tazzine.
Bevo il mio caffè. Mi alzo e pago.
"Ciao e grazie" mi saluta
Vorrei dirle qualcosa, come di togliersi quei tacchi, di usare scarpe basse, che mi fermerò ancora per il caffè anche senza quei tacchi, io e tutti gli altri. Ma non le dico niente. La vita è fatta di belle frasi non dette.
Sull'uscio incontro un altro cliente. Riesco a sentire il suo "Un caffè, grazie".
Vedo lei che si gira verso la macchinetta e lo sguardo di lui che scende.
Esco. Ho un gioco nello zaino. Che a dirla così suona come Ho un coniglio nei pantaloni.
Invece è Aquasphere. Piano B della serata da Vik.
La mia amica bionda, invece, che non lava tazzine ma cura malattie infettive all'ospedale, mi whatsappa per rimproverarmi che non ho mai parlato di 7 Wonders sul mio blog: "Male-male-male, Andre".
Le rispondo che di 7 Wonders e Agricola è pieno il web e nessuno si aspetta di sentire la mia.
Ma neanche a farlo apposta due ore dopo Vik scrive che serve un antipasto per la serata prima di partire con Traders of Genoa.
"Ci vorrebbe qualcosina di light, sui 30-40 minuti, che conosciamo tutti"
"7 Wonders?" propongo
Il gioco ottiene il raro RedBairon Approved.
Riparto. E mi fermo poco più avanti con la macchina per comprare un secchiello di taralli al rosmarino.
7 Wonders
Gioco pluristellato e pluripremiato di Antoine Bauza, del 2011, per 2-7 giocatori, edito da Asterion, una 40ina gli euro di scontrino, indipendente dalla lingua, che conoscono pure i sassi.
La meccanica è quella del draft: si collezionano set di carte e si guadagnano punti grazie a speciali incastri, semplicemente draftando su 3 epoche.
Ogni giocatore gestisce, in maniera del tutto astratta e pretestuosa, una civiltà con annessa meraviglia, la cui costruzione (opzionale) porta a un bel grappolo di punti.
La forza del titolo è la sua estrema semplicità unita a una buona profondità.
Il solo meccanismo del draft è sufficiente per raccogliere risorse, comprare tecnologie, assoldare milizia, sviluppare un piccolo motore, costruire Meraviglie e guadagnare punti vittoria vanilla.
Un gioco adatto ai novizi (anzi: amato dai novizi) tanto quanto ai giocatori scafati in cerca della partita perfetta, un titolo che nel giro di pochi anni è già diventato un grande classico.
Arriviamo da Vik che ci sono già altri taralli sul tavolo. Taralli che marcano il territorio per scoraggiare altri taralli.
La partita aperitivo a 7 Wonders dura mezzora, 4 etti di taralli al peperoncino che sembrano impastati con habanero red savina, 3 caffè e un bottiglione di Pepsi.
Vince Red 58 a 57 sul sottoscritto, mentre Vik rimane indietro di una ventina di punti.
Pillow, in missione addormentamento Vichingo Junior, riemerge in punta di piedi dalla camera da letto e ci raggiunge al tavolo giusto in tempo per Traders of Genoa.
"Vuoi un paio di chili di taralli?" le chiedo porgendole un secchiello che sfamerebbe un sanbernando.
"La mangiate una fetta di cheesecake?" propone
"C'è sempre spazio per una cheesecake" rispondo
Elogio della Cheesecake
Dolce per 2-6 giocatori, di semplice realizzazione, composto da una base di digestive sbriciolate unite al burro fuso, Filadelfia montato con panna, zucchero e gelatina per dolci, con uno strato superiore di marmellata e guarnizioni di frutta. Dolce freddo, a basso costo, che non richiede cottura nè particolari abilità in cucina, risulta molto apprezzato d'estate (sia perchè non si accende il forno sia perchè fresco e non eccessivamente dolce).
Con parecchie Cheesecake nel mio curricula, e vagamente pioniere nell'uso dello spalmabile nella pasticceria, mi ritengo un intellettuale del dolce freddo e un filosofo delle torte cotte in frigo.
Il mio pensiero ultimo riguardo Cheesecake & 7 Wonders, è che condividono semplicità di ricetta e grande appagamento, che funzionano bene con ogni palato, che una volta in tavola vengono richiamate per una seconda fetta, e che a una mente illuminata non servono tanti ingredienti per fare un gran gioco.
Secondo tempo: partenza col freno a mano tirato
Vik sta decisamente virando verso il tedesco mothertongue: compra tutto nella lingua di Angela Merkel, tanto è completamente indipendente dalla lingua, salvo poi incartarsi malamente col regolamento in inglese maccheronico scaricato dal forum degli Amici della Lippa (perchè dalla Tana sarebbe troppo facile).
Il gioco parte male, fra presunti bachi e incomprensioni dell'idioma, nonostante la bocca buona della cheesecake e una coccinella raminga che viene a planarci sul tavolo. Red polemizza sul corrente meccanismo delle aste, perchè secondo lui nell'asta perfetta si deve astare al banco, non al giocatore. Vik, che ha due punti saldi nella vita: Starcraft e i giochi d'asta, ribatte colpo su colpo senza concedere centimetri, succhiando veleno come una sanguisuga sulla testa di un cobra.
I primi due turni durano un'ora d'orologio di comizio fra i due, con Pillow e il sottoscritto che si mettono a parlare di scuola dei figli, compiti della vacanze ed insiemi equipotenti.
Poi verso l'una e mezza di notte la situazione si sblocca: Vik e Red fiutano il rischio di partita infinita, concordano una tregua e rinviano il dibattito in data da destinarsi (con l'occasione raccoglieranno comunque altro materiale a suffragio delle proprie tesi).
Traders of Genoa (Genoa)
Gioco d'aste per 2-5 giocatori, della durata di 60-120 minuti a patto di non far parte della mia cricca, prezzato fra i 40 e i 50 euro comprandolo in una lingua della comunità europea (Vik l'ha evidentemente pagato 20 euro).
I giocatori vestono i panni di commercianti ciarlieri, il cui scopo è, indovina un po', far più soldi degli altri.
Si gioca su un tabellone. A inizio turno si rollano due dadi che determinano la posizione sulla griglia delle caselle. Nel proprio turno ogni giocatore muove "la Torre", una pila di gettoni simile a quella di Istanbul. Si lascia un gettone su ogni casella percorsa, attivandone l'effetto che viene aggiudicato tramite asta a uno dei giocatori. Gli edifici permettono sia di svolgere delle azioni, che di comprare abilità (es. piazza la Torre senza usare i dadi) e raccogliere risorse per il completamento degli obiettivi.
Nel gioco si asta qualunque cosa: soldi, carte, materie, obiettivi, pugni di taralli e fette di cheesecake.
Non ci sono, almeno su carta, veri tempi morti, perchè con le aste i giocatori intervengono anche nei turni avversari, ma va sottolineato che aste ogni tre per due e contrattazione all'estremo sono il sale del gioco, e se non vi piace il genere è meglio lasciar perdere.
Per amore della verità devo dire che sul finale si è innescata un'altra sanguinosa discussione sull'equilibrio delle aste fra Vik e Red, e che io ho avuto la tentazione di sniffarmi dal sacchetto le briciole rosse dei taralli al peperoncino, per sopravvivere all'eterno dibattito sul se sia nato prima l'uovo e la gallina.
Gioco interessante (a parte i soldi del Monopoli che io VIETEREI per legge nei giochi da tavolo) ma che probabilmente non fa per noi tre.
Abbiamo astato qualunque cosa, ben oltre il consentito e ben oltre il regolamento ("Se mi lasci il Privilegio ti do 4 materie e metto su un altro caffè" - "Sta bene ma solo se ci aggiungi anche la coccinella" - "Il cazzo! La coccinella rimane qui vicino a me" - "Due materie a TUA scelta per uccidere la coccinella, guarda la schiaccio col dito" - "Non schiacci un bel niente. E anzi faccio che passare!"), trasformando il gioco in qualcosa di diverso dall'originale.
Però è stato divertente.
Al termine della notte
Si rientra, con Aquasphere mai uscito dallo zaino, Luna di Feld sotto braccio per gentile concessione di Red (e la mia collezione di Stefan arriva a 7 titoli) e un pastone informe di taralli e cheesecake nello stomaco.
Red mi riaccompagna a casa.
"Grazie della serata, socio. Allora, abbiamo ricominciato?"
Guardo l'orologio.
03.15.
Tre ore di sonno all'alba.
"Sì, abbiamo ricominciato"