Vi ho già raccontato di questa nuova coppia di amici, e di qualche pizza a portar via seguita da Carcassonne Mari del Sud, l'Isola Proibita, Sushizock, Hick Hack .... ma c'è una cosa che mi sono dimenticato di raccontarvi di questi due ragazzi: che sono belli.
Ma belli da morire.
Centonovantatre centimetri lui, con una scacchiera di addominali che ci potrebbero giocare la finalissima Karpov contro Karsparov, capelli color corvo lucido, e l'aspetto del bello e tormentato, di quei figaccioni che alle medie, quando noi nerd non si beccava manco a pregare, l'avresti voluto come tuo migliore amico, per stare al suo fianco e raccattar le sue briciole, come quei pesci che nuotano ai lati della bocca degli squali. E lei, occhi di ghiaccio capaci di far vacillare ogni uomo nel raggio di 10km, alta, flessuosa, statuaria, da voltarsi quando passa, indiscutibilmente bella.
Presi separatamente sarebbero la classica eccezione a conferma della regola, in cui la regola è un certo comprensibile livello di imperfezione, ma è a guardarli insieme che non ci credi, sembrano quelle coppie impossibili tipo Brad Pitt e Angelina Jolie, quel piove sempre sul bagnato tipo Bill Gates che vince alla lotteria.
Cartagena
Adolescente distopico e con una visione del mondo fra Interceptor e Fallout3, sono cresciuto farcendo i miei panini di rabbia con i film Escape from qualcosa, a cominciare dallo sbuccianocche 1997: Fuga da New York, e proseguendo sulla retta via con Fuga da Alcatraz e Fuga dal Bronx, fino a cheeseburger-pellicole che mi vergogno di aver guardato (ma che ho guardato) come Fuga da Absolom e 2013 la Fortezza.
Quindi l'idea di un gioco ispirato alla fuga di un gruppo di pirati anti-eroi dalla fortezza di Cartagena, attraverso lerci cunicoli sotterranei infestati da ratti pieni di pidocchi (qui già la fantasia si sniffa il solvente), mi attirava come le scarpe in saldo alle donne.
A onor del vero in Cartagena l'ambientazione Escape from non è che proprio si senta tantissimo, il gioco è molto essenziale e "german", quindi molta tattica, e pochi orpelli e lapislazzuli decorativi.
Ma oggettivamene un buon gioco, concreto, solido, buono come introduttivo, buono come family game, e interessante anche come filler per i magnacrauti più oktoberfist.
Prestatomi dal Jena "RedBairon" Plissken, ingannato e poi ricattato con due token di cianuro a lento rilascio iniettati nel sangue, Cartagena tiene fede all'inesorabile countdown al polso con un regolamento che può essere spiegato in una quarantina di secondi fra la vita e la morte.
Scopo: far arrivare i propri pirati da un lato all'altro del percorso sotterraneo, al termine del quale attendono una barca a remi e la libertà
Regole: solo due le azioni possibili: 1-giochi una carta e fai avanzare uno dei tuoi pirati fino al primo spazio libero con lo stesso simbolo della carta che hai giocato (es. se giochi la carta bottiglia fai avanzare un tuo pirata fino al primo spazio "bottiglia" libero)
2-fai tornare indietro uno dei tuoi pirati fino al primo spazio già occupato da 1 o 2 pirati. Se torna su uno spazio occupato da un pirata peschi una carta, se occupato da due pirati peschi due carte.
Il tabellone di gioco è composto da 6 segmenti (ognuno raffigurante i 6 simboli spada \ chiave \ teschio \ cappello \ bottiglia in una sequenza diversa) combinabili in centinaia di percorsi diversi.
Cuore del gioco: ottimizzare le giocate in modo da sfruttare il più possibile la copertura dei simboli, per arrivare alla barca prima dei propri avversari.
La partita comincia.
Come al solito in quanto proprietario del gioco (in questo caso specifico "portatore del gioco") vengo visto come il favorito al tavolo e osteggiato da tutti gli altri, e cacio sui maccheroni si cavilla subito attorno alla questione se il primo giocatore sia più svantaggiato oppure no.
La partita decolla e la strategia prende il posto delle parole.
Io gioco con l'idea di portare avanti tutto il gruppo in blocco e non lasciare nessuno troppo indietro, e cerco sia di non vuotarmi mai del tutto la mano, sia di conservarmi un po' di polmone e di margine di manovra.
Gli altri tre giocano molto più spregiudicati, spendendo tutte le carte per lanciare in fuga solitaria singoli pirati, il che non mi sembra molto lungimirante.
Me la ghigno segretamente, infischiandomene dei loro primi pirati già sulla barca, e gongolandomi in anticipo per il momento della partita in cui si accorgeranno di averne lasciato uno troppo indietro...
La partita si conclude una mezzora dopo. Chiudono e fuggono via con l'unica scialuppa la mia Francy e Occhi di Cristallo (Francy ha chiuso per prima ma nel concludere il giro Occhi l'ha raggiunta) mentre io e il Gigante proseguiamo a oltranza a insultarci e a spintonarci nei cunicoli, almeno altri sei turni, litigando su chi sia il meno peggio.
99 bottiglie di birra
Carnoso, di sostanza, elegante nelle meccaniche, con nessuno slot riservato alle supercazzole e un motore semplice ma destinato a macinare 300.000km come le macchine diesel di una volta.
Se devo spaccare il capello in quattro, le illustrazioni non sono la cosa più vivace su questa terra, ma non è il tipo di gioco che vive sulle illustrazioni: Cartagena è la quintessenza della sostanza, del pane al pane vino al vino, del meccanismo che la fa da padrone e "voi siete solo bravi a parlare".
Il primo giocatore è figlio unico
Cos'è un gioco da tavolo se non un simulatore di vita? Aperta la scatola e apparecchiata l'illusione, veniamo chiamati a delle scelte: sei su un isola che sta affondando: cosa prendi prima il salvagente o la borraccia d'acqua dolce?
E il finale è sempre spietato: uno solo vince e tutti gli altri perdono.
Le nostre azioni si trascinano fili del nostro dna e diventano estensione del nostro carattere: siamo prudenti o carichiamo a testa bassa, puntiamo sul poco ma sicuro o sul molto ma rischioso, investiamo nell'economia e costruiamo o nella guerra e distruggiamo?
Facciamo le nostre scelte, ce lo giochiamo tutto in una mano 'sto all-in, e pretendiamo (sì, pretendiamo) il bilanciamento.
Deve essere bilanciato, bilanciato in maniera perfetta e assolutamente equo il simulatore di vita, anche se la vita non lo è per niente.
Nella realtà sull'isola che affonda i deboli soccomberebbero prima degli altri, i grassi non riuscirebbero ad arrampicarsi sui alberi, le donne più gracili a resistere alle onde più violente, e gli anziani alla forza della corrente.
Nella realtà il Gigante vincerebbe sempre e comunque, o almeno: annegherebbe per ultimo sull'isola che affonda, perchè geneticamente avvantaggiato, perchè la natura gli ha messo in mano più token che a tutti gli altri.
Così pretendiamo un simulatore equo, che resetti le ingiustizie e le partigianerie genetiche e sociali, che livelli tutti alla stessa altezza, nani e giganti, deboli e forti, perdenti e vincenti a tavolino.
Vogliamo il reset per rigiocarcela, almeno su carta, per vedere come sarebbe stata tutti con gli stessi token in mano....
E prenderci la nostra piccola, fugace, vittoria.