Non posso aiutarti. La medicina non ha dato un nome alla tua malattia, neanche lo psicologo privato, al quale lasci 70 euro ogni settimana per una seduta da 40 minuti [almeno questo, dici, ti ascolta, quello di prima ne prendeva 90 e quando arrivavi metteva su un vinile di musica classica, e se ne camminava su e giù per la stanza versandosi il tè col bollitore, secondo te pensava beatamente agli affaracci suoi] neanche il terapista ha saputo battezzarla, e senza nome è come se non esistesse, e non esiste una cura. E comunque tu non credi nelle pillole, ripeti: "Non è che c'è una pastiglia per ogni cosa, non è febbre che l'abbassi con la tachipirina. Devo imparare a conviverci". Brava. Anche se fra il dire e il fare. Vorrei essere un buon orecchio, per te. Ma essere un orecchio è difficilissimo, una delle cose più complicate del mondo, intendo ascoltare senza cercare di risolvere. Vorrei sempre dirti qualcosa per alleviare, un consiglio che tu potresti seguire oppure no [oppure non seguire ma dirmi: "Ho fatto come mi hai detto, Andre, ma accidenti non ha funzionato"].
Ognuno deve combattere con una Bestia, prima o poi nella vita, grande o piccola. La tua è incomprensibile, come quelle dei libri di Lovecraft, coi tentacoli, il manto da leopardo, le corna gibboniche, e ha una servitù di passaggio nella tua testa, un contratto blindatissimo a prova di azzeccagarbugli. Ti senti inadeguata, sempre fuori posto, mai
completamente a tuo agio da nessuna parte, sbagliata come la tessera di
un puzzle finita in un'altra scatola: sei uno scorcio di montagna
innevata in mezzo a 1000 scorci di mare con 2 delfini che zompano
all'orizzonte ritagliando un cuore nel sole.
Ma baffanculo ai romanticismi, ridi, che quando siamo nudi e aggrovigliati siamo uguali ai cani.
Il bar ha appena riaperto, hanno tenuto chiuso ad agosto per dare il bianco, tanto, ha detto il titolare, lui di solito se ne va in Spagna, e dove doveva andare quest'anno col covid? Meglio pennellare sulla scala e sentire karaoke guantanamera su Spotify sul cellulare.
Il tuo compagno ci raggiunge nel dehors, ordina una coca [e mi avverte: "Andre a sto giro tocca a me, non ci provare proprio a prendere il portafogli che ti amputo una mano"] mentre tu dal cellulare mandi una mail al lavoro per avvertire che l'indomani sarai assente.
"La mia collega si incazzerà" prevedi, prima di chiedermi "E te, come vanno i tuoi giochini?"
"Lui dà nomignoli strani a tutti" spieghi al tuo compagno "il barone rosso, il vichingo, il cardiologo... ogni tanto leggo il tuo blog, Andre, anche se dei giochi proprio me ne batte..."
"DottorX. E' un radiologo"
"A me come mi hai soprannominato?"
Glielo dico.
"Orribile. Puoi fare di meglio, te lo garantisco. Hai già ripreso coi tuoi giochini rientrato dalle vacanze?"
"Hai voglia. Stanotte sono tornato a casa alle 2.00"
"Dio santo. Cosa diavolo spinge un uomo della tua età a rinunciare al sonno, che è la cosa più bella del mondo?"
Il gioco dei giardini di Babilonia e della dea Ishtar è un piazzamento tessere e gestione risorse, ricco di fogliame verde, carte albero contuso, fontane zampillanti, fiori sgargianti, mappe di tesori perduti, e gemme preziose.
I token dei giardinieri, sovrappeso, ad indicare l'abbondanza e la generosità della dea del culto della Luna, che fece spuntare sorgenti d'acqua limpida in mezzo al deserto, si contendono i fiori e la maggioranza sulle fontane, in questo titolo per 2-4 giocatori di Bruno Cathala e Evan Singh, 60 minuti circa di durata, edito in Italia da Mancalamaro.
Il setup permette una buona varietà, così come molti sono i modi per andare a punti [più modi per far punti che turni, finirete la partita con la sensazione che gli autori abbiano sforbiciato qualcosa sull'originale: il boccone cavato di bocca alla Marco Polo].
L'interazione è leggera, poco spinta, ci si rubacchia le foglie come bruchi, ma in linea di principio, botanicamente parlando e come nella vita reale, ognuno coltiva il proprio orticello.
Gli alberi rappresentano un modo efficace per andare a punti [l'azione è gratuita per tutti in ogni fine turno, spendendo gemme] e contribuiscono al tema del gioco fioritura nel deserto.
Fra i modi più remunerativi per andare a punti c'è azione che sfrutta i giardinieri non utilizzati sulla mappa e quella che converte [e inverte] il valore delle gemme inutilizzate. Si tratta di due modi per andare a punti "a perdere", che mi ha fatto venire in mente i mazzi Suicidal di Magic the Gathering.
Alla fine si tirano i conti: punti per le carte albero, per i fiori, per la maggioranza alle fontane, e per le abilità speciali sbloccate sulla mappa.
Gioco molto rilassante, scorrevole, senza tempi morti, godibilissimo da giocatori esperti e alle prime armi, con ottimi materiali e un prezzo interessante [40€ laddove oramai sta tutto sopra i 50€]. Funziona bene in tutte le combinazioni 2-3-4 giocatori, e la partita si assesta sui 60 minuti. Un titolo sfuggito nella babilonia di scatole, ma che consiglio almeno di provare una volta.
What gamers want
Volevo prendere le parole di Cyndi Lauper e adattarle, per rispondere alla tua domanda sul sacrificare le ore di sonno, trasformare la sua canzone in: "Oh, gamers just wanna have fun".
In realtà non son tanto i giocatori quanto gli uomini che ci stanno sotto.
Quello che voglio io, alla fine di tutte le centinaia di scatole, è sempre mandare la mente altrove, rilassarmi, stare bene con persone che mi piacciono [perchè per inciso: non sei l'unica Regina di Cuori, io non spicco teste dal collo ma gioco solo con quelli che mi piacciono].
Trovo alcune cose della mia vita nei giochi da tavolo. Sicuramente sono i miei occhi, probabilmente un entomologo scopre qualcosa sull'animo umano osservando il comportamento delle mantidi e degli scarabei ercole, un idraulico installando un bidet Pozzi- Ginori.
Ad esempio poter ricominciare da zero. Livellare tutto, giocarsela, avere tutti le stesse possibilità di vittoria, perdere ma poter ricominciare.
La vita richiede alta interazione col prossimo. Con i giochi posso scegliere la bassa interazione.
Ultimamente io li chiamo tempera-belino, espressione ligure che trovo perfetta.
Intendo il genere di persone che se sembran nate per rompere le scatole al prossimo, che sembran farlo di mestiere, come quando, appena seduta al ristorantino con vista lago, ti si posa una mosca sulla mano, la scacci e lei ti vola subito sulla fronte, e immediatamente capisci che quella minuscola moschina ti rovinerà tutto il pranzo, costringendoti a gesti da pugile.
Ecco, lasciare i tempera-belino fuori dalla porta, sullo zerbino, e alzare il volume della televisione al massimo, in modo da non sentire il loro menare pugni contro la porta.
Ogni tanto vedere le bestie degli altri ci aiuta a vedere quanto sono grandi le nostre.
Grazie.
Trovate Ishtar su Magic Merchant che sostiene questo blog
Quello che voglio io, alla fine di tutte le centinaia di scatole, è sempre mandare la mente altrove, rilassarmi, stare bene con persone che mi piacciono
RispondiEliminaApplausi.
Una verità che è anche vostra, ragazzi.
EliminaAndrea
Dado....temperabelino....il mio amico "il Clava" usa un altro termine ...ma forse e' meglio che te lo dico in privato!
RispondiEliminaCmq applausi....bel pezzo...e bel gioco...Zio Bruno e' uno dei miei preferiti!
Ehi, Dome.
EliminaQuest'anno non ci siamo trovati.
Mi mancano le chiacchiere davanti ai bicchieri di ipa.
Andrea
"Ognuno deve combattere con una Bestia, prima o poi nella vita, grande o piccola."
RispondiEliminaEcco, scrivi sempre grandi verità, ma possono passare inosservate finchè non capita di ritrovarcisi in quel preciso momento.
A quel punto le parti "recensorie" e pure quelle ironiche passano in secondo piano... e capisci meglio quanto livelli di lettura hanno sempre i tuoi post. Avrei preferito non doverlo verificare con mano.
Grazie Badger. Spero che le cose ti vadano bene, e che la tua bestia ti dia un po' di fiato.
EliminaLa mia ha forze da vendere. Ma tiro avanti.
^_^
Andrea
"ha una servitù di passaggio nella tua testa, un contratto blindatissimo a prova di azzeccagarbugli" : geniale! Complimenti per come scrivi. Mi ritrovo molto nelle tue parole.
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