domenica 6 agosto 2017

Obtorto collo

Il POG rischiava di farmi saltare i nervi e la serata, e forse io me lo meritavo anche, per i molti peccati di gola, superbia, lussuria e masserizia, ma Orleans, appena sceso dall'ape Bartolini, no. Il Pog, acronimo di Per Ora Grazie, lavoro non retribuito per amici fritz e compagni di merende, arrivò nel tardo pomeriggio, puntuale come il gatto quando apri il tonno. L'ultimo fattorino nel lungo passaggio di mani, fu mia madre, che consegnandomi la scatola mi suggerì: "Prima lo fai e prima ti togli il pensiero". Il consiglio riverberava indietro negli anni, dai tempi della scuola e dei compiti a casa.
Mio padre colse l'occasione per ricordarmi che lui comunque aspettava ancora quel banco di ram che gli avevo promesso la sera che eravamo andati al cinema a vedere "La vita è bella" di Benigni.
Giacchè ero stato così nabbo da farmi cogliere dal pog senza una scusa valida, che ne so la stipsi o il cambio gomme estivo, incassai e portai a casa il portatile. Era inscatolato, nuovo di supermercato, con vaghi profumi sul cartone di corsia dei latticini. Lo collegai alla rete e lanciai un timido windows update. Microsoft mi rispose So' 4Gb di patch, che faccio lascio? Avviai e me ne uscii di casa.

Agosto di notte era caldo e umido tale e uguale. Mentre il pc scaricava io caricai Red sotto casa.
Le opzioni per la serata erano state soltanto due: chiappe a mollo nella vasca da bagno, o al caldo su una cadrega puntata contro Orleans. E noi avevamo scelto male.

La macchina sorprese di nuovo Torino in pigiama e con lo spazzolino ficcato in bocca. La città restava sulle sue, inafferrabile, soda nei suoi paradossi, icona di anni incomprensibili. Torino era lo specchio dell'animal, il profilo sbieco di un'Italia con i capillari rotti sul naso per il gran bere, per il caldo e per dimenticare, e di una generazione che pagava lo stipendio a personaggi come Tina Cipollari, Bello Figo, Fabrizio Corona e Saluta Andonio. Il solo fatto di conoscere i loro nomi e i loro volti, mi faceva sentire complice. Il Titanic si stava inabissando e io cantavo Despacito.

Arrivammo fradici ma arrivammo.
Al Jolly Joker c'era il pienone.
"Che nome avevate lasciato per il tavolo?" 
"Ghiandole Sudoripare" risposi 
"Eccolo. Tavolo in fondo"
Ci avevano assegnato il tavolo fra il frigo delle birre e il bagno. Dovevamo solo seguire la natura della combo.

Chrys e l'Arpia della Mesopotamia arrivarono poco dopo. Avevo conosciuto AdM qualche mese prima a casa di Chrys. Scienziata laureata magna cum laude, mi aveva preparato il caffè e poi con lo stesso sorriso soave, vulcanizzato la mappa tutt'attorno all'accampamento dei miei su Tikal. Si era guadagnata il soprannome di Arpia della Mesopotamia sul campo. 
Orleans
Gestionale medioevaleggiante e peso medio per 2-4 giocatori, per 90-120 minuti di durata, dell'autore che ti saluta un casino Reiner Stockausen, edito nel 2014 e con due espansioni già a guarnire, attualmente 27esimo nella classifica assoluta di board game geek, e in Italia con Cranio Creations.
Il gioco, ben illustrato anche a fronte di una certa astrattezza, è costruito attorno alla meccanica del bag building, meccanica venuta sotto i riflettori proprio nel 2014 con l'uscita quasi simultanea di Orleans e Hyperborea.
Concettualmente si tratta di pescare dal sacchetto e posizione sulla plancia, cubetti nel caso di Hyperborea e aiutanti nel caso di Orleans, ottimizzando il contenuto a seconda della strategia e scremando il non stretto necessario.
Gli Aiutanti, di 7 tipi diversi, attivano sulla plancia giocatore azioni per muovere il proprio babacio sul mercato e raccogliere merci, comprare tessere luogo, e avanzare sui tracciati dei set e dei moltiplicatori di punti. Il tutto scandito da una serie di quasi sempre sfortunati eventi, puntuali a ogni turno come il gatto quando apri la simmenthal [okay: il mio gatto è bulimico].

Non era tanto l'alea della pescata, vista la possibilità micro gestire in plancia, quanto cercare di non ingolfare il sacchetto con tonnellate di segnalini. La tentazione era forte. Chrys e Redbairon non abboccarono. L'Arpia della Mesopotamia nicchiò. Io saltai nella pozzanghera coi sandali.
Il buffet era di quelli ricchi, come le colazioni negli hotel 4 stelle di Barcellona, la lusinga di riempirsi il piatto con dodici croissant irresistibile. Chrys prese il largo al Castello e nella Fattoria, e prese anche un'ichnusa per non sbagliare. Red si concentrò sulle merci e su una birra LaVal da meditazione. Io mi misi in scia, raccogliendo le briciole e cercando la maggioranza delle stazioni commerciali. L'Arpia, non potendo giocarmi contro, tornò ad essere solo Daisy, la ragazza gentile che mi aveva sorriso porgendomi la tazzina del caffè, e prese il controllo dei tracciati Artigiano e Università.
Orleans aveva qualcosa di Feld. Forse la sensazione di insalata di punti, forse la spensieratezza.
I turni rotolavano uno sull'altro come biglie in un sacchetto, senza tempi morti nè paralisi d'analisi.
Pur nella sua abbondanza di azioni era leggero, come Henry Miller aveva descritto la propria erezione nel Tropico del Cancro: un lingotto di piombo con le ali.
Red stava accumulando merci. Una tonnellata. Ma era indietro sul tracciato dell'Università, che faceva il 50% del moltiplicatore di punti. Ecco su quel tracciato Daisy dominava. Ma con garbo.
Non vedevo Chrys, nel senso che non riuscivo a percepire quanti punti stesse mettendo nella giberna.
Io ero rapito dagli ingranaggi. Li piazzavo ovunque anche se non c'era un bonus per il mastro orologiaio.
Negli ultimi turni, gli altri tre si buttarono a pescegatto sul Municipio, che bruciava segnalini in cambio di punti vittoria. Io fui lento e poco incisivo, memorabile che uno vestito da zorro al carnevale di venezia.
La partità finì. Vinse Chrys. Red dietro.
Io feci 96 punti.
Daisy 108.
Quando vide che mi stava di nuovo davanti, si voltò verso di me e mi disse: "Gnegnegne".
Le sue pupille erano tornate a clessidra.
L'Arpia.

Gran bel gioco. Voluminoso ma di facile giocata, non difficile da tirar giù dalla mensola grazie a un regolamento snello, ricco di materiali che, giusto dirlo, vi impegneranno durante il setup e occuperanno per intero il tavolo. Alea presente, naturalmente, vista la pesca del sacchetto, ma in parte moderata con l'esperienza dei giocatori. Peso medio molto interessante. Che entra nella rosa dei migliori giocati quest'anno insieme a Kepler-3042, Lorenzo, First Class.

Uscimmo e tornammo alle rispettive macchine. Non erano state sotto il sole, ma era bollenti uguale. Salutai Chrys e Daisy, e io e Red andammo a farci l'ultima birra al chiosco.

All'una di notte c'era un'intera famiglia, fra quelli che aspettavano il panino sul marciapiede, marito, moglie e due bambini che correvano fra le sedie di plastica bianche. La donna stava raccontando un complicato caso di denunce e querele incrociate fra lei e la vicina di casa, il suo ex marito e il suo capo a lavoro. Sembrava avere una vita molto complicata. Ogni tanto urlava ai bambini di stare fermi e tranquilli "Altrimenti vengo lì!", ma i bambini se ne catafottevano.
Bevemmo l'ultimo sorso fresco.
E ce ne andammo.

Il mattino seguente controllai il portatile. Alcuni update si erano incrocchiati. Credo fosse il karma per il pog obtorto collo.
Rilanciai gli update e andai in ufficio.

Computer portatili e Orleans su Magic Merchant

6 commenti:

  1. Un filo di perle una via l'altra.
    Inizio a sospettare che il caldo faccia bene alla tua vena narrativa.

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  2. Sempre in bolla anche con Lucifero :) Orleans molto elegante, ma troppo bassa l'interazione per i miei gusti. Diciamo pure praticamente nulla

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  3. Gran bel gioco: uno dei miei preferiti degli ultimi anni....e al solito, grande articolo.

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  4. La meccanica non mi dispiace, ma interazione nulla e ambientazione non pervenuta... sono passato oltre.
    Tullaris

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  5. Dopo poche partite orleans é venuto a noia... Peccato. Sembrava bello ma il solo e unico bag building é hyperborea.

    P.s. Non c'é nulla qui dell'eleganza del maestro stefan.

    MadameFeld aka The Hammer

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  6. Certo che Orleans ha una plancia bella grossa...

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