lunedì 27 maggio 2019

Il suo sorriso sotto l'acciaio

La mia scuola media esiste ancora. Negli anni '90 è stata "rinominata", come quando metti in vendita un catorcio di automobile con 300.000 chilometri e gli ammortizzatori spompati, e le dai una bella mano di vernice, cambi i tappetini e metti l'alberello profumato alla vaniglia.
Oggi ha un altro nome.
Ma l'edificio sotto, i muri, son sempre quelli.

Ho messo il primo apparecchio per i denti a 10 anni. Facevo le scuole elementari.
Avevo due gancetti fissati ai molari e di notte mettevo una cuffia con le molle in testa e una dietro la nuca. Le molle mi tiravano indietro tutta l'arcata superiore, la mattina mi faceva un male cane tutta la faccia. Ma almeno non dovevo mettere l'apparecchio di giorno, in mezzo agli altri ragazzi, e dei gancetti non ti accorgevi se non stavi proprio attento, e io avevo imparato a sorridere solo con le labbra, senza aprirle.
Dopo un anno, il dentista mi disse che andavamo a gonfie vele, che il grosso oramai l'avevamo fatto, e che dovevamo solo rifinire quel capolavoro. Era convincente. Gli credetti. Anche mia madre gli credette, e mio padre gli firmò quattro assegni post datati. Lui mi tolse dai molari i gancetti dell'apparecchio della notte, e poi mi montò in bocca quello fisso.
Era enorme. Era come tenere in bocca una macchinina bburago con gli sportellini aperti.
Avevo anellini metallici attorno a ogni dente, con occhielli nei quali correvano due fili d'acciaio. Dovevo tenerlo sempre, giorno e notte.
I compagni delle medie erano diversi da quelli delle elementari.
Ricordo ancora i commenti, gli sfottò. Niente di espressamente dedicato a me, per la verità, erano sempre gli stessi per tutti quelli che portavano l'apparecchio, li avevo già sentiti.
Togliti quel flipper dalla bocca! (risate)
Faccia d'acciaio!
(risate)
Ti do un cazzotto che ti faccio ingoiare l'apparecchio! (risate).
Poi spuntava sempre qualcuno che raccontava la storiella dei due fidanzatini, entrambi con l'apparecchio, che erano rimasti incastrati mentre limonavano, e avevano dovuto caricarli sull'ambulanza attaccati così [li avevano poi separati all'ospedale con una tenaglia di quelle per tagliare i lucchetti].
Nella sezione D, parallela alla nostra, c'era una ragazza. Si chiamava S.. Era una ragazza sboccata, sfrenata, che raccontava sempre storie che iniziavano con un compagno che se l'era tirato fuori e finivano con un'amica che l'aveva "chiavato con la mano".
S. aveva una sua moralità.
Disprezzava quelle che lo facevano, ma divulgava la pratica della chiavata con la mano. Anche lei lo faceva. Come tutte le ragazze della sua età, a sentir lei. S. si muoveva nella scuola con la grazia di una ruspa: mandava a stendere i professori e pure sua madre, quando veniva a prenderla fuori dai cancelli, collezionava con disinvoltura note sul diario, e vantava un gran numero di scritte oscene dedicate a lei, sulle piastrelle dei bagni dei maschi.
Finchè una mattina arrivò a scuola con l'apparecchio per i denti. Era simile al mio: fisso, ingombrante, indistruttibile. Con quello in bocca non riusciva più a parlare. Ci provava ma alcune parole uscivano con la sh-hhh, e poi sputacchiava. Fu chiaro fin da subito. La sua lingua velenosa non poteva pungere più.
Gli altri ragazzi, tutti quelli che fino al giorno prima l'avevano temuta, amata, disprezzata, venerata, resistettero appena qualche minuto.
Poi cominciarono il massacro sociale.

Conservo un brutto ricordo di quell'acciaio attorno ai denti.
Erano gli anni '80 e l'apparecchio non era così popolare fra i ragazzi, nella nostra classe ce l'avevamo in due.
Un po' come gli occhiali.
Oggi nessuno prende in giro quelli con gli occhiali, non credo di aver più sentito "Quattrocchi" negli ultimi 20 anni, ma quando ero ragazzino io era il nomignolo che ti beccavi in automatico il primo giorno che appoggiavi le lenti sul naso.

30 anni dopo le cose sono diverse.
Ma quando la dentista, al termine della visita pronuncia la parola apparecchio, riferita a mia figlia, il cuore mi fa un mezzo carpiato all'indietro, e in testa sento ancora quegli sfottò.
Togliti quel flipper dalla bocca! (risate)
Faccia d'acciaio!
(risate)
Ti do un cazzotto che ti faccio ingoiare l'apparecchio! (risate).

Invece degli assegni post datati, mi propone una finanziaria, oppure un piano di 500€ all'anno.
Accendo la seconda.
E così alla fine l'apparecchio per mia figlia arriva. Mobile. Da tener solo di notte. Acciaio e plastica.

Sembra prenderla bene. Oppure finge. Come fingevo io.

Le racconto che anch'io l'ho messo, e che una volta non erano così piccoli, così rifiniti, il mio sembrava due giri di filo spinato attorno ai denti, sembrava una tagliola per orsi, tanto era grande.
"Papà giochiamo?"

Glissa. Con molto stile.
"Certo"

immagine tratta dal manuale
CUBIRDS
Filler di carte, di taglio family, per 2-5 giocatori, di Stefan Alexander, per 30 minuti circa di durata, edito in Italia da MS Edizioni.
All'interno della scatola: 110 carte raffiguranti uccellini cubisti di 8 famiglie diverse, e un regolamento.

Si gioca su una griglia di 4 file da 3 carte cadauna, e a vincere la partita è il primo giocatore che riesce a collezionare uccellini di 7 specie diverse oppure 2 specie di almeno 3 uccellini ciascuna.
Le regole sono semplici.
Nel proprio turno si giocano dalla mano tutte le carte di una specie, posizionandole accanto a una delle quattro file [a destra o a sinistra della fila].
Se un giocatore piazza un uccellino in una fila che contiene già uccellini di quella specie, deve prendere tutte le carte di diversa specie comprese fra quelle giocate e quelle gia presenti.
Quando un giocatore ha collezionato un certo numero di uccellini, riportati nell'angolo in alto a destra della carta, può completare uno stormo [ossia liberarsi la mano e avvicinarsi all'obiettivo di vittoria].
Altra cosa importante da menzionare, perchè mette pressione al gioco, è che quando un giocatore rimane senza carte ha termine il turno, e tutti i giocatori devono scartare quello che hanno in mano e refillare a 8.
Punto di forza sicuramente le illustrazioni e un certo livello di cattiveria in partita.
Punto debole: ingombro al tavolo, nonostante le dimensioni tascabili. E poi ci sono due famiglie di uccellini con illustrazioni simili, che alla prima partita potrebbero confondere qualcuno.
Per concludere un gioco di carte della cerchia: "Probabilmente non cambierò il mondo ma di sicuro farò passare una bella serata a una famiglia", di taglio perfetto per l'estate in arrivo, da giocare la sera, dopo cena, prima della passeggiata in infradito su lungomare a vedere le bancherelle, con il bocca ancora il dolce d'anguria, e l'Autan attorno alle caviglie per tener lontane le zanzare.

Un piccolo sacrificio adesso, per avere i denti dritti tutta la vita.
Me lo ripeto, ma ogni sera che ci prepariamo per andare a dormire, che ci laviamo i denti, nel bagno, e ridiamo e scherziamo, finchè lei, la mia piccola, apre l'astuccio e tira fuori l'apparecchio, io penso che è un delitto contro l'umanità, privare il mondo del suo sorriso, privarlo della sua luce, anche solo per pochi minuti.
La accompagno a letto, le animo Pooh, che è geloso del coniglio della Trudy e cerca sempre di picchiarlo. Scherziamo ancora un po'.
Un ultimo bacio.
Un ultimo scorcio del suo sorriso, dietro l'acciaio.
E poi vado a letto.


Trovate Cubirds su Magic Merchant
che sostiene questo blog.

9 commenti:

  1. Sarà sempre meglio di Wingspan :D :D
    ...cmq non ti ci vedo con l'apparecchio x-)

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  2. Si, ma S. ? che fine ha fatto ? se l'e' mangiata Pooh ?

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  3. Il tuo blog è una droga Andrea Dado

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  4. La solita bella storia Dado, che richiama ricordi.
    Anch'io ed i miei figli abbiamo portato l'apparecchio: loro nella parte interna dei denti, lato palato per intenderci (the dark side of the moon) al modico costo di un organo cadauno; del mio ricordo le 3 torrette girevoli ognuna con 3 cannoni da 406 più altre svariate contraeree... si, praticamente la USS Missouri e le pallonate in faccia a calcio che mi rendevano una informe maschera di carne e sangue

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  5. Io l'apparecchio non lo dovetti mai portare ma dall'età di 7 anni misi gli occhiali (tondi a bordo azzurrino, colore puffo)...il nomignolo più affettuoso fu "Quattrocchi" et similia...
    Ci stetti male ma imparai molto presto che la strategia dell'indifferenza agli sfottò aveva una potenza pari al pugno di Mike Tyson... smisero tutti dopo poco... inoltre una parte di loro poi li misero gli occhiali e passarono dall'altra parte della barricata...
    Resistere a tutto e ripetersi interiormente:"Sono una foglia al vento!"

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  6. grazie Dado, da un ex portatore di apparecchio, 3 anni e tante battaglie perse.
    Nicola

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  7. Un grande abbraccio di incoraggiamento a tua figlia!
    Elena P.

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  8. Complimenti davvero Dado, è sempre un piacere leggere il tuo blog. E grazie per la bella partita a Cryptid, onore al vincitore!
    Walter

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