Faticavo ad adattarmi a questa discriminazione al contrario: "Potrai perculare soltanto i giocatori, ecco, loro anche a sangue", eppure ero pronto ad abbracciare il politically correct per il bene della mia gente e dei miei meeple.
Non dicevo neanche più vecchio, neppure in maniera autoreferenziale. Sono un giocatore attempato, dicevo, diversamente frizzante nelle mie quasi 44 primavere, anacronistico come un poster di Massimo Ciavarro. La verità saltava fuori oscena quando entravo nelle ludoteche, in mezzo agli adolescenti che giocavano a HeroClix ed esclamavano: "LOL!", e si rifletteva impietosa nelle vetrine a specchio dei negozi. Sul mio mento spinoso il sale stava avendo la meglio sul pepe, e non era possibile alcuna rimonta, al massimo una tinta marron glace della l'Orèal.
GianlucaGianduia se la prendeva proprio con i giovani, che pretendevano di passarci davanti, di rubarci qualcosa che noi che ci eravamo guadagnati di diritto con l'interminabile gavetta: contratti a tempo indeterminato, pensione anticipata, donne emancipate, narcos su netflix.
"Vogliono tutto loro, ma ora tocca a noi, è il nostro maledetto turno!" sbatteva i pugni sul tavolo Gianlu.
Era quindi una questione di turni.
I giochi, ancora una volta, salivano in cattedra.
OcchiDiCristallo si era prestata per la foto di copertina, stile andy warhol, di Tikal, la nuova edizione del gioco di Kramer & Kiesling, quella rimasterizzata da DvGiochi, identica nelle meccaniche ma con gli edifici in resina-nichel-cromo-tungsteno invece delle ostie in cartoncino.
"La ragazza ha la freschezza della giovinezza" avevano commentato GianlucaGianduia, storicamente non indifferente alla bellezza anzi parecchio mandrillo, "Ma tutti prima o poi invecchiamo".
RedBairon possedeva la prima edizione di Tikal del 1999, quella vincitrice dello Spiel des Jahres, con tabellone strappato in due e suturato con strisce di scotch trasparente.
Possedeva anche una copia di Antike, che una sera, per accendersi una sigaretta, aveva dimenticato sul tettuccio della macchina. Quando se n'era ricordato, qualche chilometro più avanti, era tornato indietro. Alcune macchine c'erano passate sopra. I pezzi erano sparsi sull'asfalto come frattaglie, ma c'erano tutti. Conservava ancora quella scatola, da qualche parte, in soffitta.
I giochi di Red avevano tutti una storia. Di solito di abusi.
Al 1999 appartenevano ricordi di un altro me in un altro millennio, e a parte Spazio 1999 e Maya che poteva trasformarsi in qualunque cosa, la data mi rievocava la notte del 31 dicembre del Millenium Bug.
In una baita in montagna, con gli amici, allo scoccare delle 00.00 avevamo guardato la valle sotto, temendo per un millisecondo che potessero davvero spegnersi tutte le luci. Ma le case erano rimaste accese come mille puntini d'oro, e noi avevamo brindato con spumante Asti Tosti in bicchieri di plastica e fette di cotechino precotto.
Nota: erano anni di magra, quelli, e nel parcheggio fuori la baita, la mia Fiat 127 color mattone montava catene fuori misura sulle gomme lisce, ma le banche mi telefonavano per propormi investimenti, oggi mi telefonano per propormi finanziamenti.
Tikal era il più importante e imponente fra tutti i siti archeologici Maya, quegli stessi Maya che continuavano a interessare l'umane genti nel chiacchiericcio da bar 4000 anni dopo, con profezie del malaugurio [fine del mondo toppata il 21 dicembre 2012] e sogni interstellari di astronauti nella lastra di Palenque.
Il gioco, per 2-4 giocatori, per 90 minuti, tentava di rappresentare una spedizione di esploratori attraverso la giungla, con lo scopo di liberare i livelli dei templi dalla fitta vegetazione, dissotterrare tesori e fare punti vittoria [più del dottor Kranz e degli altri esploratori].
Il regolamento forniva anche una modalità avanzata, con aste di punti vittoria per la pesca degli esagoni [più tosto ma più prono alla paralisi d'analisi].
Quel giovedì notte eravamo ancora io e il fedele Vikingo, che Red ci aveva tradito e fuggito in infradito, da una settimana se ne stava in riva al mare, a scompaginar castelli di sabbia ai bambini altrui per il solo gusto di sentirli frignare.
Eravamo dunque soltanto io e l'indistruttibile Vikingo, che la sera, con me, si lamentava anche lui del lavoro e della cervicale, solo per apparire un essere umano, e non il cyborg che era.
Chrys venne in soccorso dei richiedenti felicità offrendoci un tavolo, due seggiole, del duro companatico, e un gioco di sostanza.
Come al solito la logistica per arrivare a casa sua non fu semplice, riuscivamo a fare un gomitolo pure tenendo lo spago da entrambe le estremità, ma almeno questa volta non entrammo in casa d'altri.
Dopo qualche minuto che eravamo lì a spulciare manga dalle sue mensole, Chrys disse: "Vado a prendere la mia ragazza, voi mettevi pure comodi".
E prese le chiavi dal piattino a forma di token e ci lasciò soli nel suo appartamento, assumendosi il rischio del furto del rotolo di carta igienica [cavallo di battaglia delle nostre irresistibili burle].
Al ritorno, un caffè in tazzina scandì il tempo delle presentazioni.
Era tale e quale, TIKAL, ma confezionato con ben altri materiali, per adescare con le belle forme tornite gli ormoni dei giocatori. C'erano i punti azione, da appuntare sulle dita, e poi spendere per mettere in gioco nuovi esploratori, per vincere le maggioranze, spostare gli esploratori fra gli esagoni della mappa che si andava via via a rivelare, costruire nuovi accampamenti, reclamare tesori, dissotterrare un livello del tempio e metterci su un guardiano.
Ogni tanto capitava un vulcano, randomico come i capricci dello Stromboli. Ecco, sul vulcano sì che si andava a punti, si mettevano giù sul tracciato, senza giri di parole e can per l'aia.
Al tavolo, insieme a una birra Baladin importante, a cacciatorini coppati e a un caciocavallo stagionato diviso a cubetti, c'era l'interazione tagliata a tocchetti e sapida il giusto. Tikal era ferino ma onesto, meno punitivo nella sua rappresentazione ludica di come era stato dal vero, con partite giocate con una palla di 4 chilogrammi di peso lanciata con colpi di anca verso un canestro appeso a diversi metri di altezza, con finale di partita che prevedeva il sacrificio umano dei giocatori sconfitti [ravanata genitale propiziatoria].
Era calcoloso, questo sì, che come detto occorreva segnar i punti sulle dita per non perderne il consumo. Ma questo era il sale, faceva parte della pianificazione quanto le spine fanno parte del buon pesce.
L'azione di scambiare un tesoro scovato e scavato [3 punti azione dei 10 disponibili] con uno di quelli dell'avversario, al fine di collezionare un set ed ottenerne più punti, rappresentava la punta massima dell'interazione a sberle, vista la regola: "Non è possibile scambiare un tesoro se l'avversario ne possiede più esemplari", con la quale si poteva giocare a: prima creo la coppia e poi la proteggo.
Per la cronaca: Daisy mi fu ostile sin dal principio e infine vinse perchè il mondo è malvagio e a volte le principesse hanno un machete nella pochette..
Un gioco semplice da spiegare, con le sue sacrosante primavere sulle spalle, calcoloso un pelo, precisino il giusto, migliore del suo pur interessante seguito, e ancora capace di giocarsela bene, quasi 20 anni dopo, contro molti titoli più giovani.
E qui sta la differenza, GianlucaGianduia che so che leggi il blog, fra uomo e scatola.
Che il gioco, se buono, vive e sopravvive, e magari trova anche, nelle pieghe del tempo, una eco di giocatori che ne chiedono il ritorno, e un editore pronto a rinfrescarlo con materiali migliori, mentre l'uomo e la donna invecchiano e non migliorano mai nei materiali, neanche con un buon chirurgo plastico, che alla meno peggio rattoppa il salvabile, solleva la pelle cadente con strisce di scotch trasparente come il tabellone di Red.
E non mi dire, avvocato delle cause perse che sei, che l'uomo migliora almeno nelle regole e nelle meccaniche, che col tempo diventa più saggio, perchè il più delle volte rincojonisce nel vano tentativo di sembrar più giovane, di tenere il passo impossibile col tempo, di procrastinare l'ultimo turno.
"Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane" - Italo Calvino
Un abbraccio, mandrillo.
Andrea
Fine del mondo in scatola legacy e Tikal su Magic Merchant
Il "Dado Monotono"( sempre bellissime storie), almeno questa volta ha sbagliato, i neogamer sono i "Niubbi" giò da parecchio tempo; cavolo, va a finire che ha ragione con la storia del giocatore ed il chirurgo plastico... Naaa!
RispondiEliminaCome sempre pezzo godibilissimo in forma e contenuti. Narrazione gradevolissima.
RispondiEliminaComunque stic@xxi: gli altri resteranno sempre babbani e amen!
Gran gioco tikal. Vorremmo capire perché non hai usato la foto del barbuto come copertina però.
RispondiEliminaAlla Play, quando ci incontrammo con Helga e Stefano ti dissi che il gioco migliore che avevo provato era un remake. eccolo. ;)
RispondiEliminaDado sempre idolo a prescindere, e degno anche di sacrifizi umani (ad esempio di qualche Cosplayer)...però a noi Tikal, provato a Play, non è piaciuto granchè. Grande componentistica ma il gioco... MEH. Mal tollerato lo scoring alla fine del turno di ciascun giocatore - depotenzia l'interazione. Noi si vuole i coltelli. ARRUGGINITI. Un metro più in là a Play c'era AMUN-RE. Altra merce
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