Secondo Fabry era la mascella squadrata alla George Clooney, il genere di mascella che rende le gambe delle donne molli come strisce di liquerizia. Sì, probabilmente la mascella faceva il suo. Ma non era solo lei. Erano anche la sua sicurezza, il sorriso piacione, quei suoi capelli lunghi che negli anni 90 andavano così di moda, il fisico asciutto che ci avresti potuto affettare un salame su quel tagliere di addominali.
Yokai era basso ma dragava le ragazze del campeggio Camping Garden Cala Sinzias in provincia di Cagliari come i pescatori al largo con le reti a strascico. Io, Fabrizio e Max restavamo nei paraggi, pronti, in attesa di raccogliere cuori in frantumi. Lo squalo si prendeva i pezzi di carne più grossi ma ci si poteva sfamare anche solo con le briciole.
Yokai aveva confezionato una bella storia di mezzora. Aveva impressionato anche me la prima volta che l'avevo sentita. Ma poi Max, che era suo cugino, mi aveva raccontato che era falsa, quasi completamente falsa: il corteo pacifista, l'arresto della polizia, la cicatrice sull'addome. Tutte cazzate.
Ma se la bevevano tutti quella storia, come me l'ero bevuta io, e alle ragazze brillavano gli occhi quando la raccontava.
Yokai era ciecato e aveva un paio d'occhiali quadrati tartarugati che sembravano rubati a suo nonno. Ma la sera metteva le lenti a contatto. E diventava irriconoscibile come Clark Kent e Superman.
Suonava la chitarra, naturalmente, 'sto stronzo, c'era da aspettarselo. Non era bravo, strimpellava, ma come per il resto: era accattivante, metteva la salsa su una suola e tu ti convincevi che la bistecca era buona.
Indossava magliette degli Iron Maiden e quando incontrava qualcuno con una dei Gun's and Roses gli attaccava la pezza che erano di destra.
"Ma li hai mai letti i testi dei Guns?" chiedeva, facendoti sentire piccolo.
Col cavolo. Per noi l'inglese non andava oltre il the cat is on the table. E allora ascoltavamo tutti lui e il suo pippone sui testi dei Guns, muti e umiliati.
Yokai era basso di statura. L'ho già detto. Un metro, un cazzo e una mentina. Un altro al posto suo si sarebbe fatto venire il complesso, perchè alle ragazze, lo sapevano tutti, piacevano quelli alti e piantati.
Ma lui le ragazze le falciava come il morbillo i bambini alle elementari, via una avanti l'altra. Non so come diavolo facesse.
"Sono il piccolo che soddisfa" rideva.
Yokai il gioco da tavolo era vigliacco uguale.
Per 2-4 giocatori, 15 minuti di durata, di Julien Griffon, indipendente dalla lingua, per tutti i giocatori grandi e piccoli, edito da Playagame. Costava un panino e una birra, stava in tasca. Il genere di scatolina che sottovalutavi, forte delle erezioni del tuo Gloomhaven.
Il gioco era un cooperativo e si spiegava in 2 minuti e mezzo. Il mazzo era composto da 16 carte raffiguranti 4 spiriti Yokai. Si creava una griglia 4x4 di carte mescolate e a faccia in giù. Nel proprio turno ogni giocatore pescava 2 carte, le guardava e poi le rimetteva al loro posto. Fatto ciò doveva spostare una carta [non necessariamente una di quelle guardate] e piazzare un indizio. Gli indizi indicavano i colori e c'erano indizi da 1, 2 e 3 colori.
Scopo del gioco era, prima del termine della partita, armonizzare gli spiriti, ovvero: mettere tutti gli Yokai della stessa famiglia adiacenti ortogonalmente.
I Giullari ci avevano fatto un video.
Sulla carta Yokai sembrava solo un memory avanzato ma ti fregava con quelle quattro regole ben misurate di game design e l'aspetto cooperativo. Era piacione, si faceva giocare da chiunque e dovunque, sul tavolo della birreria, in spiaggia, sul letto, e non esisteva partita singola: minimo due, il "Facciamone un'altra, dai" era sempre dietro l'angolo.
Yokai era un cooperativo che strangolava i coglioni al player alfa, e faceva delle dimenticanze, della poca memoria, motivo di risate al tavolo.
E quando pensavi di averlo domato, dopo qualche partita, quando credevi di aver raggiunto l'intesa del meta linguaggio, con i tuoi compagni di merende al tavolo, c'erano i livelli avanzati: difficoltà crescente, uno più duro dell'altro, una vera goduria.
Yokai il gioco aveva il raro talento di farsi amare da tutti. Non so come diavolo facesse. Io ne avevo parlato agli altri giurati del Premio Efesto, categoria filler, mi sembrava perfetto.
Col senno di poi Yokai del campeggio in Sardegna era un vero stronzo.
L'ho cercato di recente su Facebook, mi ricordavo nome e cognome.
Penso di averlo trovato anche se son passati 30 anni.
Ha il profilo privato, si vedono solo due foto, ma sono sicuro che è lui. In una delle due foto c'è una chitarra elettrica. Nell'altra si vede l'insegna al neon di un bar [sembra un pianobar, ma potrebbe anche essere la copertina di un cd].
Vorrei scrivergli. Dirgli: ma quante frignacce raccontavi quando avevi 16 anni, e noi che ce le bevevamo tutte come il bicchiere con le gocce quando hai sete.
Ma meglio di no. Ad uno come lui meglio non far sapere di aver lasciato il segno.
Trovate Yokai il gioco
e l'altro Yokai, il contaballe, su facebook
ma quello non ve lo consiglio
Come sempre pezzo accattivante e divertente per un gioco che sto anche io trovnado molto interessante e stimolante, vediamo come regge alla prova vacanza!
RispondiEliminaFinirà anche nella mia valigia.
EliminaCiao manu.
Gioco interessante, peccato per quella parolaccia "Cooperativo"; a quel punto, per armonizzare i colori, mi butto su "Chakra"!
RispondiEliminaPS ai miei tempi, gli squali mangiavano anche le briciole :-)
Sì concordo, credo che nel DPCM ci sia scritto che non si può neanche più usare come parola. Non è covid-safe! :-D
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