La birra gli si sta scaldando nel bicchiere, e io penso che deve aver messo su almeno 20 chili dall'ultima volta che ci siamo visti, quasi un chilo all'anno, non che io me ne sia stato a digiuno.
Gli racconto del lavoro, di Francy, di mia figlia, e lui commenta "Bene, bene", come se volesse liquidare in fretta per raccontarmi qualcosa di importante.
"A me le cose non vanno molto bene" mi dice quando è il suo turno.
Non ho bisogno della pinza per cavargli le parole di bocca.
Mi racconta del lavoro, quello dei suoi sogni, per il quale ha mollato un impiego sicuro che non lo avrebbero licenziato neanche se l'avessero trovato coi pantaloni calati seduto sulla kyocera a fotocopiarsi le chiappe.
"Mi ritrovo a 44 anni a dover ricominciare tutto da zero, Andre, mando curriculum, faccio colloqui, dicono che mi faranno sapere. Il mio inglese, che prima, quando raccontavo che avevo lavorato sei mesi a Londra mi srotolavano il tappeto rosso davanti ai piedi, adesso non impressiona più nessuno".
Finisce la sua birra tiepida.
"Ma da te cercano?" mi chiede a un certo punto, e io capisco che è quello il vero motivo della nostra rimpatriata, e che probabilmente non sono neanche il primo dei vecchi amici, che ha ricontattato.
"Non lo so. Posso chiedere.."
"Posso lasciarti un curriculum?"
Ce l'ha già in mano. Piegato in una busta. Lo fa scorrere sul tavolo.
"Per dire: sai che figata dovessero prendermi a lavoro da te? Andremmo a prendere il caffè insieme, saremmo colleghi, sai che risate?"
I ricordi prendono i sopravvento. Insieme alla tristezza. So quello che prova.
"Ti ho preso una cosa" gli dico aprendo lo zaino.
"Eddai, Andre, io non ti ho preso un cazzo".
Apre il mio pacchetto.
Accipicchia, di Alex Randolph.