mercoledì 19 agosto 2020

L'estate dei buoni propositi e dei fichi secchi

Il covid-19 se n'era tornato a casa sua con le pive nel sacco, o almeno così sembrava, da quel nostro calare le mascherine più veloci delle braghe dinnanzi non solo ai potenti ma a chiunque potesse anche solo darci un calcetto nel culo ma di quelli buoni [perchè anche se facevamo i leoni da tastiera sui social, condannando l'Italia piccola, eravamo tutti segretamente, nascostamente, furbetti del quartierino].
L'estate 2020 era infine arrivata, e nessuno aveva montato pannelli di plexiglass in spiaggia fra un ombrellone e l'altro, nè aveva fatto il bagno in mare con la mascherina ffp2 o ffp3. Le mascherine, prima portate al gomito, erano finite sprofondate nelle tasche, e riportate alla luce del sole soltanto all'ingresso dei negozi, e solo per evitare multe e chiusure. Nessuno, per strada, tirava più fuori il gel disinfettante all'amuchina, nessuno strofinava più le mani come un procione, il gesto sembrava oramai anni '80 come il gimme five di Jovanotti.
Avevamo svoltato e già dimenticato. Prima o poi sarebbe arrivato il conto al tavolo.

Il virus aveva colpito di sponda, a casa mia. Francy, con un contratto interinale finalizzato all'assunzione e prossimo alla scadenza, si era vista recapitare una mail che cominciava con "Siamo spiacenti di comunicarle che a causa dell'ingente riduzione dei volumi legata al covid-19...".  Aveva dovuto riconsegnare il computer portatile e il badge, aveva attivato la procedura di disoccupazione, e puntualissimo le era tornato il mal di testa settimanale, quello di adamantio, resistente all'ibuprofene.

Anche le consuete due settimane in abruzzo erano saltate, per diverse ragioni. Un amico mi aveva prestato le chiavi della sua casa in Liguria: "Così ti fai qualche giorno, Andre".

Intanto fra giugno e luglio era calata su Torino la solita cappa di caldo umido, quella che i torinesi descrivevano: "E' come infilarsi a letto sotto un piumone bagnato", e con studiato tempismo sul pannello frontale del mio condizionatore a muro era spuntata una spia rosso sangue.
Dallo split l'aria usciva tiepida: utile come una zanzariera strappata.
Avevo provato a chiamare l'assistenza tecnica ma mi avevano rimbalzato a fine settembre [un secondo prima che si chiudesse la telefonata li avevo sentiti ridere: "Oh, raga, mi ha chiesto se potevamo intervenire già questa settimana muahahaha"].
RedBairon era partito e mandava su whatsapp foto mentre faceva il morto a galla in mare o mentre beveva cocktail verdi con l'ombrellino.

Sentii Viking e Chrys. Speravo che almeno uno dei due avesse un condizionatore buono.

La sera uscii di casa per raggiungere Chrys. Per strada le prostitute si sventolavano sotto il mento i depliant con le offerte del Lidl, e attorno ai chioschi dei panini le falene si gettavano di testa nelle bottiglie di birra aperte.

YUKON AIRWAYS
Il titolo della Testa Games era per 1-4 giocatori, l'età consigliata era +14, e la durava cabrava e imbardava fra i 60 e i 90 minuti.
L'autore, Al Deluc, nell'introduzione del manuale, raccontava che quel gioco era dedicato a suo padre, che se n'era andato da poco, e che 50 anni prima era stato davvero pilota di idrovolanti per la YA, che trasportava turisti da un'isola all'altra.
Tecnicamente il gioco rientrava nel filone dei pick-up and delivery [prendi una cosa da una parte e portala dall'altra]. I dadi colorati, che avevo visto nelle foto su facebook, erano i turisti, che venivano distribuiti sui moli a seconda del valore. Ad ogni molo corrispondeva un'azione bonus e una diversa posizione sul tracciato ordine di turno. Ogni aereo poteva imbarcare solo dadi dello stesso colore, a meno di bonus.
Gli aerei erano tutti veivoli leggeri. Bisognava necessariamente programmare, fare i conti col carico, col peso dei turisti, e con i galloni di carburante. Le destinazioni più lontane sembravano irraggiungibili.

La plancia giocatore era costituita da un realistico cruscotto di comando, pieno di lancette e bottoni da attivare.
Era forse quanto di più vicino avessi mai visto in termini di aderenza con l'ambientazione, in un gioco così deterministico.

Ogni giocatore doveva gestire una mano di carte. Le carte rappresentavano le mete, l'arrivo dei turisti, e potevano inoltre essere giocate, tramite simboli nell'angolo in alto a sinistra, per attivare bonus
supplementari.

Il turno era tutt'altro che banale: occorreva pianificare gli spostamenti, concentrare i turisti, fare il pieno di carburante, sbloccare bonus utili sul cruscotto dei comandi, ottimizzare la mano di carte, anticipare gli avversari sulle mete [e soffiar loro i cubetti], e sprecare il meno possibile.
Ogni nuova meta raggiunta e ogni turista accontentato rappresentavano occasioni d'oro su un tabellone che tendeva a svuotarsi di cubetti col passare dei turni.

Yukon Airways era un bel peso medio. Era fatto col cuore, e si vedeva lontano un miglio. L'autore conosceva bene la materia e aveva di fatto trasformato i suoi ricordi in un gioco da tavolo. Lo invidiai. Aveva immortalato per sempre suo padre e la sua infanzia in una scatola magica, che avrebbe raccontato la sua storia a migliaia di altre persone in tutto il mondo, come una biografia interattiva.
L'immortalità non era da tutti. Prima di lui c'era riuscito Voldemort con gli horcrux.

Spiegai il gioco.
Lo spiegai male, naturalmente, nel mio gruppo con Vik e Red ero quello dei tre che spiegava peggio, che sembrava sempre un kebabbaro finito per sbaglio su un palco davanti a un microfono a parlare di fissione quantistica.
Vik e Chrys capirono il senso, come con i turisti stranieri che fermavano per strada: "Boungiorno, I'm tourista, excuse me, dove è Porta Nuova station, grazia mille?"

Giocammo.
Vinse Viking, piuttosto agevolmente, dando 25 punti di distanza al secondo sul tracciato, e risultando l'unico a raggiungere le due mete più lontane. I giochi di programmazione gli riuscivano sempre bene.

Prima di andar via provammo ancora un prototipo di Chrys, più che altro per avere la scusa di stare ancora un po' al fresco e bere qualche bicchiere ghiacciato.
Era un gioco di carte, d'ambientazione Cthulhu.
Vik diede ottimi consigli sul prototipo, che Chrys si annotò su un piccolo notes.
Io feci una sola osservazione. Fuori luogo. Vidi che Chrys non scriveva nulla.

Aiutammo Chrys a ritirare tutto e tornammo.
Torino di notte ci si incollava addosso come la maglietta.

Qualche settimana più tardi partii per la Liguria.
Erano forse 25 anni che non ci andavo, intendo in ferie.
Incrociai i Giullari e mi stabilii a casa loro, tutti i pomeriggi dopo pranzo, per giocare. Venne giù anche il DottorX.
Fu un bel modo per staccare la spina.

Rientrai a ferragosto. Bollino del colonnello dell'aeronatica: fra il nero e il rosso, ma sull'autostrada trovai poche macchine.
Il rientro a Torino fu caratterizzato dai ladri, che durante il ponte si erano fatti le cantine del mio palazzo, e che per rubare barattoli di conserva e qualche trolley avevano sfasciato le porte, e nella buca lettere una contravvenzione a mio nome, per mancato rispetto per la segnaletica stradale [multa e -2 punti sulla patente].
Torino mi accolse a braccia aperte.
"Bentornato, figliol prodigo. Si ricomincia".

Trovate Yukon Airways
su Magic Merchant
che sostiene questo blog


6 commenti:

  1. Mi spiace per Francy. In bocca al lupo, speriamo che i prossimi mesi vi siano più favorevoli di quelli passati.

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    1. Speruma, dai.
      Aspettiamo il maledetto bicchiere mezzo pieno.
      Andrea

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  2. Un grande in bocca al lupo a Francy, un bel vaffa ai ladri e speriamo che la fine dell'estate porti buone nuove... Il gioco sembra carino, perderei a occhi chiusi, la programmazione ed io siamo agli antipodi 😁

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    1. Ciao Ida.
      Gioco molto carino e non costa neanche tanto.
      A me i giochi di programmazione piacciono, anche se resto ultimo sul tracciato dei punti vittoria.
      ^_^'''
      Andrea

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  3. Bentornato ed in bocca al lupo a tutti, se ti può consolare, c'è anche a chi è andata peggio senza neppure partire ( a te hanno svaligiato la cantina, a me casa... :-( )

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    1. Uei. Brutto rientro il tuo, peggiore del mio.
      Mi spiace.
      In bocca al lupo, Kukri.

      Andrea

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